Da una decina d’anni anche a Sestu, così come in altri centri della Sardegna, il nuovo anno si apre con la celebrazione della festa di san Sebastiano. Nel nostro comune – spiega Roberto Bullita, cultore di storia e tradizioni popolari – questa festa era gradatamente caduta in disuso con l’avvento degli stili di vita legati alla società dei consumi e soprattutto per effetto della contrazione, nell’ambito dell’economia locale, del settore pastorale, cessando definitivamente di esistere intorno alla metà degli anni ’60 del Novecento. Come accade ancora oggi, in quei paesi della Sardegna che hanno portato avanti questa tradizione senza soluzione di continuità, negli ultimi secoli la festa era organizzata da un comitato di pastori che portavano il nome del santo (Pittanu, Srebastianu).
A riscoprire e riproporre la festa all’attenzione della comunità e delle autorità civili e religiose di Sestu è stata un’associazione culturale locale, Is Mustaionis e s’Orku foresu, interessata a evidenziare e valorizzare i legami che questa ha con l’avvio del Carnevale. La popolazione fin da subito ha accolto la festa e i suoi riti con curiosità e interesse e in breve tempo ne ha fatto uno gli appuntamenti più attesi e partecipati dell’anno. Ha certamente giocato a suo favore la memoria che di essa avevano conservato gli anziani e tutti coloro che l’avevano conosciuta da bambini. Ma il suo rilancio si deve anche alla partecipazione dei tanti nuovi residenti provenienti da zone della Sardegna dove la tradizione del falò di san Sebastiano (su fogaroni) è ancora molto viva e sentita.
La festa di san Sebastiano – come dimostrano le ricerche di Roberto Bullita – affonda le sue radici in un lontano passato e faceva parte di una triade di feste che si svolgevano a Gennaio, accomunate dal rito del fuoco (Sant’Efisio, Sant’Antonio Abate, San Sebastiano). Al fuoco la tradizione pagana, su cui si è poi innestata quella cristiana, attribuiva una funzione purificatrice. Le fiamme bruciavano tutti i mali del mondo e i santi proteggevano e guarivano gli uomini e gli animali dalle malattie, in particolare dalle pestilenze, portatrici di lutti e dolori. Nella notte tra il 19 e il 20 gennaio tutta la comunità si incontrava intorno al fuoco e si intratteneva, tra canti e balli, fino all’alba. Rientrando ciascuno nelle proprie abitazioni, gli uomini e le donne del paese recuperavano dalla cenere ancora calda gli ultimi tizzoni ardenti (munzionis), per conservarli come amuleti contro le malattie e i temporali.
La festa ritrovata si svolge, anche oggi, all’insegna della tradizione, intorno all’accensione di un grande falò. Nuovi e vecchi residenti dopo il tramonto si riuniscono nel piazzale lungo l’argine del fiume e lì si fermano per ore a scaldarsi e contemplare il grande fuoco che continua a conservare intatto l’antico alone di magia. Accompagnati dalla musica delle launeddas, sulittu e organetto, molti si uniscono in un grande cerchio per ballare su ballu tundu, altri cenano all’aperto, in compagnia, con pane, formaggio e salsiccia.
All’improvviso, quando le fiamme si levano alte, compaiono sulla scena le terrificanti maschere del carnevale arcaico. Si muovono lente a ritmo cadenzato e interpretano una pantomima di morte e rinascita che contribuisce a rendere ancora più suggestiva e misteriosa l’atmosfera. All’apice della festa, ad aggiungere fuoco al fuoco, si inserisce uno spettacolo pirotecnico che saluta coloro che devono rientrare a casa per alzarsi presto la mattina.
Come tante feste tradizionali, la festa di san Sebastiano ha perso molti dei significati e dei valori che rivestiva in passato. Ma i tanti elementi simbolici di cui è intessuta ci permettono oggi di attribuirgliene di nuovi. La comunità che si stringe in cerchio intorno a uno degli elementi della natura, se vogliamo, può essere letto come l’affermazione del valore della collettività che si oppone all’individualismo e ai suoi modelli culturali e sociali, il cui dominio oggi sta umiliando le speranze di milioni di persone e contribuendo a distruggere l’ambiente in cui viviamo.
Sandra Mereu