Festa di San Sebastiano 2015

San Sebastiano 2015Da una decina d’anni anche a Sestu, così come in altri centri della Sardegna, il nuovo anno si apre con la celebrazione della festa di san Sebastiano. Nel nostro comune – spiega Roberto Bullita, cultore di storia e tradizioni popolari – questa festa era gradatamente caduta in disuso con l’avvento degli stili di vita legati alla società dei consumi e soprattutto per effetto della contrazione, nell’ambito dell’economia locale, del settore pastorale, cessando definitivamente di esistere intorno alla metà degli anni ’60 del Novecento. Come accade ancora oggi, in quei paesi della Sardegna che hanno portato avanti questa tradizione senza soluzione di continuità, negli ultimi secoli la festa era organizzata da un comitato di pastori che portavano il nome del santo (Pittanu, Srebastianu).

Fuoco di Sant'AntonioA riscoprire e riproporre la festa all’attenzione della comunità e delle autorità civili e religiose di Sestu è stata un’associazione culturale locale, Is Mustaionis e s’Orku foresu, interessata a evidenziare e valorizzare i legami che questa ha con l’avvio del Carnevale. La popolazione fin da subito ha accolto la festa e i suoi riti con curiosità e interesse e in breve tempo ne ha fatto uno gli appuntamenti più attesi e partecipati dell’anno. Ha certamente giocato a suo favore la memoria che di essa avevano conservato gli anziani e tutti coloro che l’avevano conosciuta da bambini. Ma il suo rilancio si deve anche alla partecipazione dei tanti nuovi residenti provenienti da zone della Sardegna dove la tradizione del falò di san Sebastiano (su fogaroni) è ancora molto viva e sentita.

La festa di san Sebastiano – come dimostrano le ricerche di Roberto Bullita – affonda le sue radici in un lontano passato e faceva parte di una triade di feste che si svolgevano a Gennaio, accomunate dal rito del fuoco (Sant’Efisio, Sant’Antonio Abate, San Sebastiano). Al fuoco la tradizione pagana, su cui si è poi innestata quella cristiana, attribuiva una funzione purificatrice. Le fiamme bruciavano tutti i mali del mondo e i santi proteggevano e guarivano gli uomini e gli animali dalle malattie, in particolare dalle pestilenze, portatrici di lutti e dolori. Nella notte tra il 19 e il 20 gennaio tutta la comunità si incontrava intorno al fuoco e si intratteneva, tra canti e balli, fino all’alba. Rientrando ciascuno nelle proprie abitazioni, gli uomini e le donne del paese recuperavano dalla cenere ancora calda gli ultimi tizzoni ardenti (munzionis), per conservarli come amuleti contro le malattie e i temporali.

I musicistiLa festa ritrovata si svolge, anche oggi, all’insegna della tradizione, intorno all’accensione di un grande falò. Nuovi e vecchi residenti dopo il tramonto si riuniscono nel piazzale lungo l’argine del fiume e lì si fermano per ore a scaldarsi e contemplare il grande fuoco che continua a conservare intatto l’antico alone di magia. Accompagnati dalla musica delle launeddassulittu e organetto, molti si uniscono in un grande cerchio per ballare su ballu tundu, altri cenano all’aperto, in compagnia, con pane, formaggio e salsiccia.

San Sebastiano_SestuAll’improvviso, quando le fiamme si levano alte, compaiono sulla scena le terrificanti maschere del carnevale arcaico. Si muovono lente a ritmo cadenzato e interpretano una pantomima di morte e rinascita che contribuisce a rendere ancora più suggestiva e misteriosa l’atmosfera. All’apice della festa, ad aggiungere fuoco al fuoco, si inserisce uno spettacolo pirotecnico che saluta coloro che devono rientrare a casa per alzarsi presto la mattina.

La comunitàCome tante feste tradizionali, la festa di san Sebastiano ha perso molti dei significati e dei valori che rivestiva in passato. Ma i tanti elementi simbolici di cui è intessuta ci permettono oggi di attribuirgliene di nuovi. La comunità che si stringe in cerchio intorno a uno degli elementi della natura, se vogliamo, può essere letto come l’affermazione del valore della collettività che si oppone all’individualismo e ai suoi modelli culturali e sociali, il cui dominio oggi sta umiliando le speranze di milioni di persone e contribuendo a distruggere l’ambiente in cui viviamo.

Sandra Mereu

Villaggi scomparsi del territorio di Sestu

Lo studio degli insediamenti scomparsi della Sardegna in età medievale e moderna è un campo della ricerca storica che negli ultimi decenni ha registrato interessanti progressi. Un notevole impulso in questo senso si è avuto dalle ricerche di John Day che nel 1973 pubblicava l’inventario dei villaggi abbandonati in Sardegna. Più recentemente la ricerca storica insieme agli studi di archeologia medievale hanno permesso di colmare molte lacune presenti nelle fonti cinquecentesche e di superare l’approccio quantitativo che caratterizza il lavoro di John Day. Si sono così analizzate le cause profonde del fenomeno, legandole ai mutamenti istituzionali, economici e sociali che hanno caratterizzato gli stati giudicali e il Regno di Sardegna tra medioevo ed età moderna (Giovanni Serreli: 2009¹). Nello stesso tempo, per spiegare le ragioni dell’abbandono di interi villaggi, si è presa in considerazione anche la microstoria. Gli avvenimenti drammatici e improvvisi spesso più di altri motivi possono vincere il naturale attaccamento dell’uomo al suo territorio. A questo proposito Giovanni Serreli ricorda la distruzione di interi villaggi costieri del cagliaritano ordinata dal re di Arborea Mariano IV durante la guerra contro i catalano-aragonesi, citata in una fonte del 1366. Dietro la strategia bellica del sovrano arborense – scrive Serreli – “si intravedono famiglie di disperati costretti ad abbandonare i propri miseri averi, le proprie abitazioni, le proprie terre per recarsi in altri villaggi, oggi diremo come profughi”. Contributi allo studio degli insediamenti umani e al loro abbandono provengono anche dalle fonti toponomastiche correlate all’archeologia, quantunque spesso, avverte Giovanni Serreli, emergano tra fonti scritte ed evidenze archeologiche discrasie cronologiche. Quasi mai infatti l’abbandono di un villaggio da parte dei suoi abitanti è un fatto istantaneo ma più spesso un fenomeno lungo e complesso del cui andamento raramente resta traccia nei documenti. Anche il territorio di Sestu, tra medioevo ed età moderna, è stato interessato dal fenomeno dello spopolamento e abbandono di antichi villaggi. Vi proponiamo di seguito le schede sintetiche dei centri abbandonati curate da Roberto Bullita seguendo il filo rosso dei toponimi locali e pubblicate nella pagina Facebook “Sestu per immagini tra passato e presente”.   (Sandra Mereu)

Villaggio di Sinnuri o di San Michele (Santu Miali)

San MicheleLa villa di Sennuri, conosciuta anche come Santu Miali (San Michele) dalla chiesa che vi sorgeva, si trovava a nord-est di Sestu lungo la strada per Serdiana a ridosso del Rio Sassu. Sinnuri era un centro di piccole dimensioni, lo desumiamo dal fatto che tributava al comune di Pisa la modestissima somma di 2 lire e 18 soldi come dazio, nonché trenta starelli di grano e 24 d’orzo come contributo in natura. Fu abbandonata in data imprecisata in seguito a una pestilenza che distrusse nell’isola tanti altri insediamenti rurali minori nel corso del Cinquecento. Il suo territorio, come accadde per gli altri villaggi scomparsi entrò a far parte di Sestu col toponimo Santu Miali. I terreni che vi insistevano venivano adibiti a vidazzone durante il periodo più florido dell’economia rurale e frumentaria, caratterizzata appunto dalla rotazione agricola dei terreni (vidazzone e paberile). Il villaggio di Santu Miali viene citato con la sua chiesa durante la visita pastorale dell’arcivescovo Lasso Cedeño nel 1597.

Villaggio di Sussua

san gemilianoIl villaggio di Sussua risale alla seconda metà del XIII secolo ed era ubicato in zona San Gemiliano in quanto comprendeva l’omonima chiesa. In precedenza in quello stesso territorio sorgeva l’antico villaggio prenuragico di San Gemiliano, studiato a suo tempo dall’archeologo Enrico Atzeni, unitamente a quello di Monte Olladiri (territorio di Monastir). Il villaggio di Sussua nell’anno 1322 era infeudato a Pisa in quanto versava i seguenti tributi: 26 lire e 11 soldi per datio, 7 lire per vigne, 55 starelli di grano e 66 d’orzo, a cui si aggiungevano altre 33 lire in denaro. Nel 1335 la villa è citata nel Componimenti Nou, un documento conservato a Barcellona che contiene una lista di villaggi infeudati. La sua popolazione contava allora dai 150 ai 200 abitanti e aveva una discreta dotazione di territorio agricolo. Tuttavia nel 1490 il villaggio risulta disabitato, come tanti altri di quel tempo.

Villagio di Seurru

SeurruLa villa di Seurru nacque probabilmente sui resti di un insediamento più antico (si pensi a sa Funtana de Seurru) come modesto agglomerato ubicato intorno alla chiesa di San Saturno. Il “Registro” delle rendite pisane ci dice che nel 1322 risultava popolata da una cinquantina di persone. Nel suo territorio sorgeva una chiesa localizzabile nei pressi della strada che dalla curva di via Andrea Costa (vecchia S.P. per San Sperate) porta a San Gemiliano, nella campagna nota come località Sant’Esu. Su questa chiesa purtroppo non si hanno molte informazioni. Sappiamo solo che trent’anni più tardi Seurru compare con la sua chiesa tra i possedimenti della Mensa Arcivescovile di Cagliari. Dopo l’anno 1365 comincia la sua progressiva decadenza fino all’abbandono. Sant’Esu attualmente fa parte della toponomastica territoriale del comune di Sestu che ne ha inglobato la zona insieme a tutto il territorio di Seurru.

Villaggio di Nuracada

NuracadaLa villa di Nuracada era ubicata a nord di Sestu e contava durante il medioevo un centinaio di abitanti. Essa viene citata in pieno periodo giudicale da un documento del 1215 e dalla statistica pisana del 1322. Nel corso del XIV secolo Nuracada era infeudata ai signori Ramon e Tomaso Merquet, appartenenti a un grande casato di nobili barcellonesi stabilitisi nell’isola. Nell’anno 1544 il villaggio risulta già spopolato a causa di pestilenze e carestie varie. Il suo territorio verrà quindi incorporato da Sestu e oggi compare nella sua toponomastica comunale.

Roberto Bullita

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1. Giovanni Serreli, Vita e morte dei villaggi rurali in Sardegna tra stati giudicali e Regno di Sardegna e Corsica, in RiMe n.2, giugno 2009